Questo sito web utilizza i cookie per migliorare la navigazione. Utilizzando il sito si intende accettata la Cookie Policy.     Maggiori Informazioni

Gian Ruggero Manzoni



Ecco come la fotografia di Carotti, amplificato ogni evento, diventa, di conseguenza, emblematico e statuario spettro riepilogativo, la sintesi metaforica, lo slancio verso il domani, che poi è un oggi, ma anche un ieri.

Il silenzio-sonoro (cosmico) e, insieme, la molteplicità e variabilità di significati, che ogni immagine può veicolare, sono i cardini sui quali si snoda la sua ricerca; poi le congetture, oltre che ipotetiche anche teoriche, seppure tutte “esterne” alle immagini in questione, che si vanno ad assommare, sono l’ulteriore carica di pathos che determina-definisce il lavoro di Fabrizio, anche grazie l’humus culturale che lo vive  e che, nei tanti rimandi-riflessi, spesso e magicamente sfugge alle “intenzioni originarie” dell’autore. Ed è per questo che il potenziale bagaglio simbolico del rappresentato sembra valorizzarsi ulteriormente, grazie a tutta una serie di ipotesi che potremmo fare. Infatti il completamento dei “sospesi” che abbiamo con l’occhio emerge nelle sue opere e si nutre non solo di un coinvolgimento, ma, anche, dell’indefinito come della suadente natura di un “medium” considerato erroneamente  freddo, così come viene intesa (di solito) la macchina fotografia. In effetti, in certi lavori, non troviamo alcuna “spiegazione” dell’accaduto fotografato, ma solo il “divenuto”, che ci lascia il rappresentato privo di un eventuale-possibile commento esplicativo. Questo rivela che il significato poi il significante possono essere anche elusi, perché un “oltre” si fa largo. E’ così che l’apparato descrittivo contribuisce alla variazione del logico, dell’analizzabile, affidandosi, esclusivamente, al senso. In questa penuria apparente di informazioni, chi ammira è quindi chiamato a completare il narrato, con proprie forme di astrazione, con ulteriori dati, con il proprio Sé (sia nell’ansia sia nel godimento).

Tutto l’insieme di indicazioni incoraggia, nel nostro bisogno, la partecipazione all’evento creativo, così come questa forma di coinvolgimento, in un gioco di specchi, si evolve in interazione ed enfatizza l’essere nel piacere del visivo, oppure nell’incubo di un non definibile.

Perciò l’opera di Carotti si muove tra un edonismo (esteticamente) positivo e il pensiero di un dramma, nel quale il magnetismo del paesaggio si reinventa seppure  sfuggendo in una vibrazione (anche verbale); e in questo il potere di “condurci in un altrove”, là dove il visibile si congiunge con l’invisibile. Infatti il paesaggio o, meglio, l’ambiente, diventa lo spazio cruciale in cui il dialogo fra il reale e il possibile s’innesca e in cui il valore espressivo rientra, sempre, in una variante diacronica… quindi mai definita, mai paga, mai sazia. Ma quello che ora ho descritto non è forse il primo attributo del sacro? Reputo di sì… reputo che Carotti rientri in quella schiera di artisti che (vicini al mio-nostro sentire) calcano giustamente la mano sul “deiforme”, sul “magico primario”, sul “sublime”, sul “mistico” (sia in accezione ‘santa’ sia ‘demoniaca’) edificando tappe esemplari che superano la profondità del tempo perché soggette a continue trasformazioni, mutazioni, metamorfosi, definendo il vissuto quale trascendente elevazione (o caduta) verso un possibile paganesimo primigenio.

In questo intreccio di sentimenti elevati o di oscure passioni, di forze arcane o di vanità, di reliquie o d’ideali inseguiti oppure infranti, di credenze o menzogne, il divino (il trascendente) prende forma, sia come natura sia in ectoplasmi fascinosi oppure grotteschi.

Gian Ruggero Manzoni
www.gianruggeromanzoni.it